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La “lezione” di Dalla Chiesa

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Sono passati trent’anni dalla morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato dalla mafia poco dopo la sua nomina a Prefetto di Palermo. Tutti noi ricordiamo le immagini dell’A112 con i corpi dei coniugi riversi in una pozza di sangue e ricordiamo il movimento che quelle morti generarono nella vita politica e sociale del Paese. Nuove leggi e nuove procedure rinvigorirono la lotta alle mafie. È questa l’eredità che il popolo italiano ha raccolto dal sacrificio del suo fedele servitore. Le nuove generazioni possono studiare cosa avvenne prima e dopo il 3 settembre 1982, ma per comprendere i fatti e gli avvenimenti è necessario soffermarsi sulla figura di quest’uomo, capire chi fosse Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Lo abbiamo chiesto a due amministratrici locali che si occupano di istruzione ed educazione sul territorio, l’assessore provinciale Anna Maria Mariani e l’assessore del Comune di Novara Margherita Patti. Entrambe hanno esaltato la figura del generale. «Un modello da seguire», secondo Anna Maria Mariani e «una figura che i giovani devono imparare a conoscere ed ammirare», nel ricordo dell’assessore Patti. È tra i giovani che è necessario raccontare la vita di personaggi simili e si deve fare nelle scuole, luogo dove si formano, crescono e imparano le pratiche del vivere civile, che diventano rilevanti nel contrasto alla cultura mafiosa. «La lotta alle mafi diventa un discorso culturale quando si intuisce che alla base del fenomeno sussiste un consenso generato sull’omertà, ed è proprio lì che il lavoro educativo deve intervenire», spiega l’assessore Mariani. Importante anche la collaborazione con le realtà esterne alla scuola, come Libera. «Se invito un esperto – prosegue Mariani - a parlare di criminalità in una scuola, io insegnante devo portare dei ragazzi che siano già stati preparati e che siano adeguatamente motivati». L’assessore Patti aggiunge che «andrebbero istituzionalizzati dei percorsi di educazione alla legalità, al rispetto delle regole e dell’altro, da affiancare all’apprendimento delle nozioni necessarie che si insegnano a scuola». Le scorciatoie del più furbo e dell’uso di forza e violenza rischiano di condizionare le scelte dei giovani. «Per evitare questo bisogna intervenire con un’azione educativa», conclude Patti. Le parole delle amministratrici richiamo così l’importanza di parlare con le nuove generazioni, perché tutti, non solo gli adulti, sentano la responsabilità di costruire un Paese più giusto, dove crescere senza paura.


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